Una messa per festeggiare le persone che nel 2025 hanno concluso il programma terapeutico nelle realtà terapeutiche della Comunità Papa Giovanni XXIII.
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Un’immagine che resta impressa della Festa del Riconoscimento, celebrata come da tradizione il 26 dicembre, alla parrocchia “La Resurrezione” di Rimini, è senza dubbio quella degli abbracci. Non solo semplici gesti di affetto, ma il segno di una vita ritrovata. Sguardi di luce nuova, dopo il senso di smarrimento e solitudine vissuta. In una chiesa straripante ad abbracciare i propri ragazzi, oltre ai familiari e agli operatori, anche quest’ anno, c’era una Comunità intera.
Novantotto i protagonisti che nel 2025 hanno tagliato il traguardo del loro percorso terapeutico nelle strutture della Comunità Papa Giovanni XXIII: metà di loro provenienti dalle realtà italiane e l’altra metà dalle case sparse nel mondo, tra Croazia, Bolivia, Brasile e Cile.
Un dramma senza confini, una rinascita comune
Storie diverse, latitudini lontane, ma un unico denominatore: la lotta contro l’alcol, il gioco d’azzardo e le sostanze stupefacenti. Una conferma che la fragilità umana e il disagio profondo non conoscono confini. La cerimonia, presieduta quest’anno da Monsignor Nicolò Anselmi, Vescovo di Rimini, ha rinnovato un appuntamento voluto oltre trent’anni fa da don Oreste Benzi per festeggiare il “ritorno alla vita” dei suoi tanti ragazzi.
Le voci dei protagonisti: Barbara e Federico
Tra i festeggiati del 2025 spiccano i volti di chi ha deciso di rimettersi in gioco. Barbara, 32 anni, toscana, ha iniziato a usare droga a 14 anni. Oggi, per la prima volta, sperimenta una lucidità vera: «Provo un misto di contentezza e paura per il nuovo che mi attende. Il mio desiderio più grande è stare bene con me stessa. A chi è ancora nel fango dico: chiedete aiuto, non abbiate paura».
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C’è poi la storia di Federico, 24 anni, di Bologna. Partito dalle “canne” al liceo per sentirsi accettato, è finito in un vortice di psicosi, depressione e ricoveri. «La droga era diventata il senso della giornata. Oggi mi commuovo a pensare dove sono arrivato. Devo tutto alla mia volontà e a ciò che la Comunità mi ha dato in questi due anni. Ora vorrei iscrivermi all’università. Desidero vivere una routine sana e la mia autonomia».
Il Vescovo Anselmi:
«Gli errori sono lezioni, ora siate testimoni»
Durante l’omelia, Monsignor Anselmi ha sottolineato come il “Riconoscimento” non sia un punto di arrivo, ma un nuovo inizio: «È l’avvio di un percorso di testimonianza. Gli errori sono lezioni; riconoscendoli è possibile ricominciare a costruire il bene e annunciare la vera Speranza».
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A dare voce alla gratitudine di tutti i presenti è stato Aldo, che a fine messa ha ringraziato le famiglie e la Comunità: «Grazie per l’opportunità di riallacciare rapporti di stima. Il bene non è mai senza fatica, ma abbiamo scoperto di poter accogliere. Che il Signore ci renda innamorati della nostra nuova lucidità».
di Emanuela Frisoni