Dalla scuola alla comunità: come il contesto cambia l’essere educatore

In comunità terapeutica ha riscoperto il senso profondo di essere educatrice: una relazione che cura, accoglie, cambia. La storia di Alessandra Nilo

 

Fino a poco tempo fa lavoravo in una scuola, immersa tra banchi, campanelle e ragazzi in crescita. Oggi sono educatrice in comunità terapeutica per il recupero delle Tossicodipendenze, presso la Struttura Regina della Speranza a Lavagna di Comazzo in Lombardia, dove il tempo ha un ritmo diverso e il bisogno educativo è più crudo, urgente, spesso intrecciato con storie di marginalità e sofferenza.

 

Nella scuola l’educatore è una figura di supporto, un ponte tra insegnamento ed inclusione. Accompagna, media, stimola. Lavora nella prevenzione, lavora con il gruppo, costruisce percorsi. In comunità, invece, l’educatore è prima di tutto una presenza. La relazione è più profonda, più continua e talvolta più conflittuale. Si lavora sul recupero, sulla ricostruzione di sé, sul limite, sull’attesa e sull’errore. Anche gli orari e le criticità cambiano radicalmente: a scuola si lavora prevalentemente in fascia diurna, con orari definiti e una netta separazione tra vita lavorativa e privata. In comunità, invece, si lavora su turni, anche serali, notturni e festivi, in un contesto che richiede continua flessibilità e capacità di gestire l’imprevisto. Le criticità scolastiche riguardano soprattutto le dinamiche relazionali e le difficoltà educative, mentre in comunità si affrontano crisi, ricadute, momenti di forte instabilità emotiva. 

 

Ho scelto questo cambiamento consapevole delle fatiche che comporta, perché sentivo il bisogno di un lavoro dove la relazione educativa fosse ancora più intensa, autentica, vitale. Lasciare la scuola è stata una decisione sofferta, che tuttavia mi ha permesso di rinascere come educatrice.

Essere in comunità mi consente di avere cura della vita delle persone, “una cura che cura anche me”, sento di poter esprimere al meglio le mie competenze attraverso l’educazione informale preferendo un approccio relazionale più diretto rispetto a quello più istituzionalizzato dell’ambito scolastico. 

 

Vivo con gioia ed entusiasmo la dinamicità di un contesto lavorativo che mi pone di fronte ogni giorno nuove sfide e mi offre la possibilità di entrare in contatto con esperienze uniche. In questo percorso sento crescere, giorno dopo giorno, la passione per il mio lavoro perché mi permette di comprendere ed accompagnare le persone nella loro unicità e totalità, considerando non solo gli aspetti educativi ma anche quelli sociali, emotivi e relazionali.

 

La comunità ti mette davanti al dolore, ma anche alla possibilità concreta di cambiamento. Ti obbliga a rimettere in discussione i tuoi schemi, ad imparare ogni giorno. È un contesto impegnativo, certo, ma capace di restituirti molto: negli sguardi che si riaccendono, nei piccoli progressi che diventano conquiste, nella fiducia che lentamente rinasce. In fondo, educare è proprio questo: esserci con autenticità. E io, oggi, ci sono più che mai.

 

di Alessandra Nilo, Educatrice in comunità terapeutica