“Imparare a morire per vivere davvero”

Intervista a Padre Guidalberto Bormolini: spiritualità, comunità e il coraggio di abitare la fine“

C’era una volta un borgo abbandonato, sommerso dai rovi e dimenticato dal tempo. Oggi è un luogo vivo, rigenerato non solo nei muri ma soprattutto nell’anima. È qui nell’Appennino toscano che padre Guidalberto Bormolini – artigiano, monaco, antropologo e tanatologo – ha dato forma a un sogno radicale: creare una comunità spirituale che accolga chi è in ricerca, chi affronta la malattia, chi si confronta con la fine della vita. Un luogo dove la morte non è più un tabù, ma una maestra di vita. 

“Affrontare il tema della morte nasce da un bisogno profondo delle persone”, racconta Bormolini – da noi intervistato- “Bisogna imparare a morire, per vivere davvero”

E’ con lui, incontrato nel borgo “Tutto è vita”, che proviamo ad addentrarci sul tema della finitudine e del bisogno spirituale insito in ogni uomo. Una sorta di anteprima dei contenuti che lo stesso Bormolini porterà al nostro Convegno: “Cronos e Cairòs“  Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. per ragionare sul senso e le sfide aperte relative al consumo di sostanze e i comportamenti. Padre Bormolini per l’occasione sarà chiamato ad intervenire sul tema: “Uomo chi sei? Corpo, Psiche e Spirito dell’uomo” in dialogo con Federico Faggin a sua volta chiamato a parlare del fondamento spirituale della vita di ogni giorno: dall’intelligenza umana ed artificiale all’Infinito. Un appuntamento senza dubbio da non perdere.

Ecco il frutto della nostra arricchente conversazione.

 

 BORGO TUTTO E' VITA

 

Da dove nasce l’intuizione di questa vostra comunità di occuparsi del tema scomodo della morte? 

“Sorge dal bisogno delle persone che avevano trovato nel nostro approccio spirituale aperto e inclusivo, una risposta al loro bisogno di affrontare una malattia grave e la finitudine.

La meditazione quotidiana che qui pratichiamo è un esercizio di piccole morti e rinascite: ti insegna che fermare corpo e mente è un passaggio per accedere a qualcosa di nuovo. È un cambio di sguardo, ed è proprio lì che inizia la speranza.”

 

Dove cercare oggi la speranza?

“In un tempo segnato da crisi globali, guerre e solitudini,  la speranza nasce da una sinergia: da una parte la nostra volontà di cambiare sguardo, dall’altra la disponibilità ad accettare che una mano – amorevole e divina – ci sollevi il viso, ci orienti verso una luce nuova e ci volti verso un altro punto di vista.”

 

Cosa manca all’uomo di oggi per essere felice? 

“Relazioni di cura di amore, perché gli oggetti non rendono felice nessuno.  Sono le relazioni di cura, d’amore che danno pienezza alla vita. L ‘assenza di queste ci priva di vita, di felicità, di gioia. Dobbiamo insegnare qual è la via d’uscita all’orizzonte buio che sembra delinearsi di fronte all’umanità, tra guerre, inquinamento e tutto quanto di tristezza l’attanaglia”.

 

Perché parlare di spiritualità all’uomo di oggi, è così fuori moda? 

“In realtà piano piano sta diventando di moda, ma appunto, una moda. Sicuramente la religione consumista sembrava saziare i bisogni essenziali dell’essere umano e quindi non si cercava altro. Imbottiti di oggetti all’infinito, non c’era più sete di infinito. Se la religione è stata per anni soffocata da una logica consumistica, ora qualcosa sta cambiando. La sete di infinito sta tornando a prevalere sulla sete di oggetti. Sempre più persone si accorgono che l’abbondanza materiale non colma il vuoto interiore.”

 

BORGO TUTTO E' VITA

Da dove ripartire per riportare l’uomo alla sua dimensione interiore? 

“Bisogna partire dall’esperienza, è l’esperienza che fa cambiare sguardo sulla vita.  Non si può vedere la vita soltanto come un fatto intellettuale o un’idea ma bisogna “entrare”, anche il Dio incarnato ce lo insegna, entra fino in fondo nella vita.  Bisogna fare l’esperienza di Altro per poter abbandonare quello che non ci ha portato alla felicità”.

 

Don Oreste diceva: “La salvezza non è qualcosa ma Qualcuno” e anche il metodo terapeutico della Comunità Papa Giovanni XXIII ha sempre dato uno spazio importante  alla dimensione spirituale.  Quanto è importante in un percorso di recupero, curare questa dimensione e come provare anche nel nostro piccolo ad applicarlo nel quotidiano?

“Bisogna incontrare Qualcuno e questo è il grande annuncio che facciamo come cristiani.  Oggi purtroppo si spersonalizza tutto, per cui è tutto virtuale, non c’è una relazione vera e profonda neanche col divino che occupiamo di un’energia in qualche modo anonima.  Bisogna prima di tutto fare un incontro personale e radicale con questo per poi poterlo trasmettere agli altri.

Bisogna che il nostro cuore sia abitato da una presenza divina in modo da poter far sentire agli altri che una presenza divina può prendersi cura di loro”.  

 

Quali sono i miracoli più belli che ritieni siano avvenuti nella tua vita? 

“Ogni giorno lo vedo un po’ come un miracolo, ma il dono più grande è avere una strada, una via concreta che mi avvicina all’abbraccio col Signore, e che mi permette anche di aiutare gli altri a trovare qualcosa che dia loro un senso”.

 

E i miracoli più belli successi in questo borgo?

“Qui ciò che colpisce è la Provvidenza che agisce costantemente per poter essere a disposizione di chi ha perso la via, di chi ha perso il senso della vita.  E’ il vedere come vi sia un incessante aiuto dall’alto che sostiene nelle fatiche che certe volte le imprese comportano. I sogni da realizzare sono difficili, ma ne vale la pena. Sempre!”

 

Emanuela Frisoni